Gart - GardenArt è un'associazione di promozione sociale, ente di terzo settore senza scopo di lucro, iscritta al Runts. Prende il nome dalla radice Gart, dal tedesco Garten - “giardino”, spazio racchiuso; nell’accezione del filosofo paesaggista Gilles Clément, rappresentazione del pianeta. Ovvero "il sentimento di finitezza ecologica fa apparire i limiti della biosfera come lo spazio concluso di ciò che è vivente. Se si smette di guardare il paesaggio come l’oggetto di un'attività umana, si scopre una quantità di spazi indecisi, privi di funzione, su cui è difficile posare un nome. Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello della luce. Si situa ai margini, rifugio per la biodiversità - una corteccia, un lichene, una montagna, una nuvola. Si colloca nel campo etico del cittadino planetario come frammento condiviso di una coscienza collettiva".
A partire da questa visione ampia, Gart intende far emergere il processo creativo come via spontanea, di connessione con il proprio centro interiore a partire dall'ambiente, da ciò che ci circonda, nella percezione del Tutto di cui siamo parte. Uno stato di immersione, di unione profonda, in cui sia possibile lo scambio e la crescita. Trasmettere e applicare creativamente i messaggi della Natura, apprendendo dalle sue dinamiche di simbiosi, di adattamento e di conservazione.
“Affinché l’essere umano possa adattarsi al proprio cuore” (R.M. Rilke)
Attraverso la cultura del verde, veicolata dall'arte contemporanea, dalle pratiche e discipline, dal 2016 - anno della fondazione - si invita ad un approccio attento alla cura, al rispetto di ogni essere vivente. Un percorso in cui la bellezza è nel cammino stesso, nell’opera stessa. Il primo logo Gart è una spirale che germoglia all’interno, unendo il dentro con il fuori, simile alla lumaca, il cui guscio è simbolo di riciclo e stoccaggio, che oltrepassa il recinto dell’orto. Il nuovo logo Gart, contemporaneo e immediato, rappresenta un ulteriore cammino sulle tracce del Selvatico (realizzato da Paolo Zampese).
“L'erba ha lo stesso potere dell’albero. Nell’economia circolare non esiste alcuna gerarchia” (G. Clément)
Molte le voci che agiscono virtuosamente per seminare negli spazi apparentemente abbandonati o sospesi. Il valore aggiunto di un "giardino/network" riconoscibile può accoglierne e veicolarne la ricerca e le attività.
"Non si può sottovalutare lo sforzo da compiere, non tanto per inventare una nuova economia quanto per guardare il mondo in modo diverso. Non si tratta di tecnica ma di base culturale. Viviamo in un’epoca rara, che ci impone di saper ridefinire il nostro posto nel cosmo, di procedere ad un'auto-riconfigurazione” (citazioni da "L'Alternativa ambiente").
MANIFESTO
“Terra, Materiaprima”
Testo critico di Giosuè Allegrini
Progetto di Ruggero Maggi
Quando centomila anni fa a est di Dusseldorf o sui displuviali antichi dell’Africa equatoriale o sulle grandi piane fitte boscaglie e paludi dei gonfi fiumi colorati della Cina un debole primate con due zampe, groviglio di bisogni elementari, di fame, di voglia di sopravvivenza, di paura, scoprì, per caso e per necessità lo strumento della parola che lo metteva di colpo alla pari e al disopra dei molti concorrenti al non troppo gaudioso banchetto della vita, nasceva l’uomo. Per millenni costui si interrogò sull’origine di questa magia che lo faceva simile agli Dei, i quali tutto regolavano e governavano. Il Mito gli corse in soccorso ed egli stesso si credette a lungo frutto e volontà dell’Onnipotenza, che così aveva voluto.
Tale solare convinzione caricò di ulteriore mistero, invece di toglierne, la memoria d’ogni popolo della Terra e di tutte le culture dell’Universo. Anche senza ricorrere al vecchio schema evoluzionistico dell’uomo e dell’essere che disegnano la storia secondo un progetto che procede dal buio e dalle tenebre verso la luce, si poté osservare come la penetrazione e la comprensione della Terra, dell’essere, dell’uomo sia come categoria sia come ipotesi del suo rappresentarsi e rappresentare, apparisse come il tentativo di decifrare l’ermetico codice dell’universo che ci circonda e avviluppa. In tale condizione l’occhio che esplora il mondo è il prolungamento del corpo e dell’anima, è la mano che afferra i materiali d’ogni attività e d’ogni esperienza e li
consegna all’Essere.
Egli li ricompone nel segno inciso fortemente sulla nostra scorza come una volta si incideva sulla scorza dell’albero e della pietra. L’occhio allora è la nuova mano che incide. Ed incide nel dire, per dire, dicendo. Il dire è additare, è indicare il luogo che vogliamo separare dagli altri luoghi ed esso indica lo spazio dove si sta per realizzare la nostra esperienza, dove il nostro essere nasce. L’ambiguità primitiva si dissolve per penetrare nella Terra le verità delle forme e dello spirito, dove l’occhio le può dipanare all’infinito.
L’espressione artistica allora si scioglie per farsi imitativa, emotiva, armonica, sociale, ed entra per farsi tutt’uno con l’esperire della Terra e della vita, entra nell’essenza dell’Uomo che è volto allo straordinario dell’Eternità e che ha sconfitto la caducità del Tempo e la precarietà della Storia.
Numerose sono le rappresentazioni espressive che hanno esplorato, da un punto di vista artistico, sociologico, culturale, etico ed estetico il peculiare binomio “Terra – Uomo”: dal guru Joseph Beuys, convivente di un coyote e fecondo piantatore di alberi, a Michael Heizer, autore di “Displaced, Replaced Mass”, da Robert Smithson, pioniere della Land Art e artefice di “Spiral Getty”, a Richard Long di “Crossing Place”, da Dennis Hoppenheim a Paolo Barrile, l’artista ambientalista-comportamentale di “Messaggio Terra”, passando per Gilles Clément e il “Manifesto del Terzo Paesaggio”, solo per citare alcuni esempi e rimanere nell’ultimo mezzo secolo di storia.
Naturalmente potremmo andare ben oltre: dalle espressioni primitiviste e tribali africane a quelle degli aborigeni australiani, passando dai Maya, agli Atzechi, agli Inca e così via, muovendo per il mito dell’eroe romantico che partiva alla ricerca di qualcosa spesso d’indefinito, noncurante delle distanze e dei rischi, fino a proferire un formale ma liberatorio “Doctor Livingston, I presume”, transitando per Rimbaud in Africa e Gauguin a Thaiti. Seppur apparentemente esplorato, il binomio “Terra – Uomo” possiede ben altre peculiarità tuttora da rivelare; una di queste riguarda il rapporto tra l’animale sociale fatto di logos, pensiero e carne e l’arte, le scienze e la memoria in cui si esplicita quell’anelito di assoluto che alberga in un corpo che avrà fine.
Ogni società come ogni individuo vive - o almeno dovrebbe vivere - attraverso la memoria. Senza memoria non c’è durata, non c’è anima. Lo stesso Umberto Eco, redattore del Marcatrè ai tempi della Poesia Visiva genovese di Luigi Tola e Rodolfo Vitone, identificava la memoria con l’anima.
Pur tuttavia noi, oggi, siamo privi di strumenti di reale conoscenza. Siamo sovrainformati e la sovrainformazione ci travolge come un’amalgama, un blog di elementi indistinti riportati su uno stesso piano, una scala di valori inespressivi a derivata nulla. Non c’è più gerarchia, né tantomeno una distinzione valoriale. Vittime e carnefici vengono così regolarmente ricondotti tutti su uno stesso piano di giudizio, ma del resto la causa scatenante è nota: c’è stata una frattura fra l’uomo e l’ambiente, fra l’uomo e la storia, fra l’uomo e la sua stessa essenza, che non può essere ricucita con mezzi convenzionali. E’ del resto la stessa natura antitetica della nostra cultura, sempre in bilico fra Razionalismo e Antirazionalismo, fra Modello e Unicità, che produce effetti di conoscenza che spesso rovesciano la realtà in finzione e la finzione in realtà e del resto non è per nulla accidentale che il bisogno di partecipazione emotiva, di sentirsi parte del tutto universale, è oggi più che mai vivo.
Come nel giardino delle Esperidi anche in tale frangente esiste un percorso d’uscita, un varco sensoriale fra il reale ed il fantastico che consente di fendere la nebbia dell’ipocrisia, dell’apparenza e dell’ovvietà per proiettare l’essere umano alla volta di un rinnovato Umanesimo e il concetto “Terra, materiaprima” ne rappresenta un chiaro, esplicito esempio nella misura in cui affida all’artista l’improbo compito, ma ad una condizione implicita: purché Egli si faccia sciamano, purché Egli sappia interpretare, indagare, meditare, fino a trasformare la “Storia” nell’incunabolo naturale, ambientale, sensoriale, di un futuro tutto da scoprire, restituendole al contempo una purezza paragonabile ad un anno zero della cultura.
Infatti, seppur potentemente invasa dal soverchiante tourbillon degli umani eventi la “Storia” non scompare, fagocitata dal moderno Leviatano della velocità (espressa sotto varie forme: dall’informazione, alla comunicazione, al commercio, al trasporto e così via) cui tutto è dovuto, ma si stratifica via via, davanti a noi, quasi fosse una materia aperta a vari livelli cognitivi. Una materia che si è formata per successive accumulazioni, sedimentazioni, nei millenni, dentro la terra, inglobata nelle viscere di essa, con un ordine arcano della natura, lasciandosi “necessariamente” contaminare anche dall’azione umana, divenendo essa stessa un’entità
antropomorfa.
Ciò che fanno gli artisti di “Terra, materiaprima” è dunque innescare, attraverso una sovrapposizione pittorico/scultorea su di un frattale materico/ambientale, una visione “omotetica interna”, ossia una visione indotta che si adagia ineludibilmente su di noi; la pelle diventa così una membrana sensoriale con la quale l’essere umano si mette in relazione empatica con tutto ciò che lo circonda: in essa riveliamo il profilo di una montagna, la ruga di una roccia.
La roccia più passa il tempo e più diventa antica, diventando simbolo della storia del mondo. Un segno fuggente, una macchia fluida, sono come il ricordo, o la cicatrice, del vero; sono le tracce tangibili di un passato legato alla memoria, tanto nella sua declinazione individuale, ossia come risultato di un vissuto soggettivo relazionato alle tracce che esso lascia nell’ambiente, tanto in
quella collettiva, come esito cioè di un trascorso comune.
Il linguaggio di questa materia storico-antropomorfa diventa così un’articolazione del limitato per esprimere l’illimitato, oltre che un omaggio alla natura, alla sua ciclicità e al suo perpetuo rinnovamento. Una stratificazione tangibile di riflessioni, pensieri, ambiente e storia che si posano, si condensano e si sovrappongono presentandosi al nostro sguardo attraverso minuscole zolle di terra cintate da interventi artistici. Una sorta di frattali artistico-ambientali che si trasformano, attraverso l’amplificazione percettiva che essi evocano, in agglomerati storico- materici sconfinati, quasi a voler coprire il pianeta trasformandolo in un’immensa accumulazione di passati immagazzinati, archiviati sotto forme diverse, collettive o individuali, ufficiali o private, artistiche o amministrative, come un immenso monumento destinato a manifestare il passaggio del tempo.
Testare il mondo con il proprio sguardo, attraverso una piccola zolla di terra artisticamente innescata, significa porsi in un costante incontro-penetrazione con la natura ed esprimere un desiderio di universalità, correlata allo stupore che si rinnova davanti a tutto ciò che è nuovo e inesplorato, dal macrocosmo celeste al microuniverso dell’intimità. Pensare poi di porre, anche solo per un attimo, l’equazione “zolla di terra = scatola cranica”, significa relazionare il microcosmo della nostra individualità al macrocosmo della collettività. Una sorta di accumulazione della memoria.
Impegnando la spiritualizzazione della materia e la materializzazione dello spirito l’artista, attraverso l’ideazione di “Terra, materiaprima”, giunge così a proporre un’arte come via di conoscenza, come matrice degli eventi della storia dell’uomo. Lo spazio della pura visione diviene così il luogo della coscienza, delle eterne germinazioni e della conoscenza. Un connubio, intrigante e parimenti bilanciato, fra fisicità ed astrazione emotiva che superi il confine della comunicazione logico-discorsiva e iconografica a beneficio di una rinnovata polisensorialità in cui la materia terrena, l’intervento artistico e l’occhio si fondono congiuntamente, fra loro, producendo rinnovati effetti di conoscenza che consentano, a loro volta, di decifrare l’indecifrabile manoscritto del mondo.
Un viaggio che trasforma gli astanti in novelli archeologi del mondo naturale e dei sensi, un itinerario che indaga su quanto esiste al di sotto della superficie dell’apparenza e quanto, invece, si manifesta al proprio esterno, quasi a voler sradicare istintivamente, dai mille vincoli perniciosi della quotidianità, la coscienza, la quintessenza dell’essere umano per introdurla all’interno di un percorso intimista, al contempo panico, che porta l’uomo a riscoprire la propria identità, il proprio ego naturale e istintuale percorrendo un viaggio nel tempo e nella natura, nel quale si risale a quel remoto istante iniziale in cui non esisteva il Big Bang, non esistevano neppure i Quasar, neppure la miscela di idrogeno ed elio, sempre più vicini alla sfera di fuoco, al caos primordiale, all'origine del tutto: una sorta di riscatto, liberazione, redenzione e salvezza dell’essere e dell’umanità.
L’artista diventa così pioniere dell’ignoto in un’epoca molto spesso lontana dall’etica, dalla religione, dalla cultura ma sempre assetata, consciamente o inconsciamente, di Assoluto, di Universale, di Eterno, di Globale, una sete che ci conduce alla volta di un Rinnovato Umanesimo.
Nel segno tracciato dallo sguardo si perfeziona così la realtà ed è l’occhio, l’occhio soltanto che può dipanarla all’infinito, in bilico perenne tra l’inespresso e la forma della verità che è l’Arte, una visione del mondo, ove lo Spirito e la Materia, il Segno e la Forma rappresentano un anelito urlato di Libertà.
Roma, 23 marzo 2017 - Giosuè Allegrini
novembre 2020
Trimestrale di Arte e Giardino, inteso come giardino planetario, quale relazione tra gli esseri viventi, tra Micro e Macrocosmo. L'Arte contemporanea, con le sue molteplici forme sperimentali, si fa strumento per veicolare e trasmettere l'importanza della connessione e dell'armonia con la Natura. Educare alla bellezza, al ritmo del respiro lieve, al suono inascoltato dell'albero. Al movimento dell'universo che continuamente tutti ci attraversa.
Renato Reggiani
Katia Paoletti
Gennaio-Febbraio-Marzo 2021
GartMagazine
n. 1. "Il suono inascoltato dell'Albero"
Speciale "Uniti nella Mail Art", a cura di Ruggero Maggi. Testimonianza della nascita e dello sviluppo dell'arte postale.
Hanno partecipato a questo numero educatori, poeti, artisti, filosofi, musicisti, operatori culturali.
Renato Reggiani
Katia Paoletti
aprile 2022
GartMagazine
n. 2 "L'Acqua, scintilla innocente"
Trimestrale di Arte e Giardino, inteso come giardino planetario, quale relazione tra gli esseri viventi, tra Micro e Macrocosmo. L'Arte contemporanea, con le sue molteplici forme sperimentali, si fa strumento per veicolare e trasmettere l'importanza della connessione e dell'armonia con la Natura. Educare alla bellezza, al ritmo del respiro lieve, al suono inascoltato dell'albero. Al movimento dell'universo che continuamente tutti ci attraversa.
Renato Reggiani
Katia Paoletti
ottobre 2021
GartMagazine
n. 3 "Il Vento un corpo, le mani Nuvole"
I fili della connessione con l’Assoluto si muovono dentro di noi; lo percepiamo ogni qualvolta chiudiamo gli occhi e restiamo in ascolto del vento. Ne accogliamo il passaggio, dall’esterno all’interno, dal visibile all’invisibile. Il vento nutre la sensorialità ed abita l’atavico innato rapporto con la Natura. Come richiamo, ci spinge nel bosco. Camminiamo tra rovi aggrovigliati, sotto le fronde di grandi alberi, inebriati dalla resina, nell’andirivieni di luci e ombre che muta in paesaggi sospesi. Illumina a tratti un ciclamino, una felce nella roccia o timidi rivoli d’acqua. Il vento ne traccia la via. Lo seguiamo da foglia a foglia, da corteccia a corteccia, finché qualcosa in noi riconosce e gioisce ad ogni respiro l’aria che ci attraversa, immensità e frammento di nuvola.
Renato Reggiani
Katia Paoletti
"la Repubblica" 25 febbraio 2019
Cronaca di Roma
Gart - GardenArt
Associazione non profit fa emergere il processo creativo come via spontanea di connessione e sinergia con il proprio centro interiore. Lo fa attraverso progetti di arte contemporanea, nelle sue molteplici espressioni, per trasmettere i messaggi della Natura e apprendere dalle dinamiche di comunicazione, trasformazione e adattamento del mondo vegetale. I soci di Gart sono ispirati dal "Manifesto del Terzo Paesaggio", dalle opere pittoriche di Claire Basler e dallo Zen.
Si parla dei 300 artisti partecipanti alla mostra "Terra, materiaprima", curata dal socio onorario, Ruggero Maggi, e presentata anche dall'associazione al Museo Orto Botanico di Roma a maggio 2018 nella due giorni "Festa del Risveglio", ideata e curata da Gart con 70 amici artisti e ricercatori.
Katia Paoletti
Splendido incontro con il Maestro Giuseppe Frascaroli e il critico e curatore d'arte Giosuè Allegrini, sostenitore Gart dalla fondazione. Consegna delle nomine a "Soci Onorari" alla presenza di Katia Paoletti, Presidente e Maria Montecalvo, Tesoriere.